La pittura e lo sguardo

La pittura e lo sguardo

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Avigdor Arikha è stato uno dei più grandi pittori della seconda metà del XX secolo. Non tutti sanno che, parallelamente alla sua produzione pittorica, ci ha lasciato un’opera di teorico e storico dell’arte non meno sorprendente per acutezza e originalità, che viene qui raccolta nella sua integralità. Congiungendo lo sguardo del pittore con quello del critico, Arikha riesce a situare l’atto del dipingere in una prospettiva completamente nuova, che lo mostra non semplicemente “da vicino”, come qualsiasi storico dell’arte può fare, ma piuttosto “da dentro”, nella genesi stessa delle opere. Che si tratti dell’astrattismo cromatico di Velasquez o del nitrito del cavallo graffito nella grotta magdaleniana di Gabillou, dello scacco di Giacometti o del ramo d’oro di Poussin, dell’assolo di Bonnard o del «miracolo logico» di Matisse nell’incontro tra il Jazz e l’Apocalisse di Beatus, della pittura pompeiana di David o del Raffaello di Ingres, noi siamo catturati ogni volta dalla novità del suo sguardo e lo seguiamo mentre penetra là dove quello del critico e dello storico si arrestano: l’individuazione del problema che ciascun pittore ha avvertito e ha cercato di risolvere, talora a dispetto del suo tempo.

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Avigdor Arikha

Artista israeliano di origini romene, Avigdor Arikha (1929-2010) fu deportato nel 1941 nel campo di concentramento di Transnistria insieme con la sua famiglia. Sopravvissuto al lager, visse fino al 1954 in Palestina, poi a Parigi. Nel settembre 2008 il museo Thyssen-Bornemisza di Madrid gli ha dedicato una grande retrospettiva, che lo ha consacrato come uno dei più importanti artisti della seconda metà del Novecento.

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