Intrisa di pensiero postmoderno, la nostra epoca potrebbe essere caratterizzata dal più completo scetticismo nei confronti delle grandi narrazioni della modernità, se una nozione non continuasse a dominare imperterrita la scena: la nozione di progresso. Non vi è discorso pubblico di uomini politici, tecnocrati, economisti, imprenditori e finanzieri in cui la parola «progresso» non ricorra come una speranza, un compito, un obbligo cui attenersi. Il dovere di servire il progresso è, insomma, la vera e propria parola d’ordine del nostro tempo, la fede da fare propria per non incorrere nell’esclusione da ogni agire pubblico.
Già nel 1909, nel suo articolo intitolato Der Fortschritt [Il progresso], Karl Kraus denunciava il carattere vuoto e formale dell’idea di progresso: più che un reale movimento, essa indica l’«impressione del movimento», una sorta di punto di vista fatale per il quale, qualsiasi cosa facciamo, agiamo sempre sotto il riguardo del progresso e mai del regresso.
Da Kraus a Musil, a Orwell, a Wittgenstein e a Georg Henrik von Wright si è sviluppato un ampio pensiero critico di tale idea che Jacques Bouveresse riprende e commenta in queste pagine per mostrare la totale insensatezza di una nozione per la quale «tutto ciò che si fa oggi di nuovo nelle nostre società, e anche tutto ciò che semplicemente si fa, è situato sotto il segno del progresso».
Dettagli libro
-
Editore
-
Testo originale
Sì -
Lingua
Italiano -
Lingua originale
Francese -
Data di pubblicazione
-
Numero di pagine
110 -
Traduttore
-
Argomento
-
Collana
Sull'autore
Jacques Bouveresse
Jacques Bouveresse (1940) insegna Filosofia del linguaggio al Collège de France. Grande conoscitore di Wittgenstein al quale ha dedicato sei libri e innumerevoli articoli, ha pubblicato in Italia Wittgenstein: scienza etica estetica (Laterza, Roma-Bari 1982) e Wittgenstein antropologo, postfazione a Note sul «Ramo d’oro» di Frazer di Ludwig Wittgenstein (Adelphi, Milano 1975).