L’Empire Avenue, la grande arteria di Empire Falls, nel Maine, un tempo brulicava di gente, auto e attività commerciali, ora la si potrebbe percorrere sparando sventagliate di mitra senza far male a una mosca. Un viale deserto che lo sguardo può abbracciare fino in cima, là dove troneggiano le imponenti sagome delle vecchie fabbriche abbandonate.
Prima che i Whiting – la famiglia dalle cui alterne fortune dipende la vita in città – vendessero i loro stabilimenti alle multinazionali, sull’Empire Avenue e sulle strade circostanti prosperava una florida comunità di lavoratori e lavoratrici. Ora, quelli bisognosi di lavoro si sono trasferiti altrove e all’esigua popolazione di Empire Falls non resta che trascorrere il tempo nella mera condivisione di speranze e illusioni, sogni e disinganni.
Sogni e disinganni che caratterizzano puntualmente i giorni di Miles Roby, il gestore dell’Empire Grill, il ristorante che, con le sue ampie vetrine, spicca lungo il viale principale della città. Sono vent’anni che Miles prepara hamburger, venti lunghi anni in cui sono svanite le sue speranze – l’università, un’esistenza eccitante, piena di libri e di idee – e, con esse, anche una buona parte del rispetto di sé.
Che cosa lo trattiene al bancone dell’Empire Grill, in mezzo ad avventori che non mancano di affliggerlo con consigli sulla gestione del ristorante? Tick, forse, la sua brillante e sensibile figlia che ha bisogno del suo aiuto per poter continuare gli studi? O, forse, Janine, la sua ex moglie che si è data all’insegnamento dell’aerobica nella palestra di Walter Comeau, un vanitoso galletto ruspante coi capelli grigi impomatati, stile anni Cinquanta? O, forse, è l’imperiosa Francine Whiting, che possiede tutto in città e sembra credere che «tutto» includa lo stesso Miles?
Vincitore del Premio Pulitzer 2002, Il declino dell’impero Whiting illumina un passaggio cruciale della nostra storia recente, il tramonto della vecchia società industriale, attraverso un’opera degna di figurare, nella letteratura americana contemporanea, come «l’ultimo grande romanzo del XX secolo» (Christian Science Monitor).
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Italian -
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