Indice medio di felicità

Indice medio di felicità

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È l’epoca nera del Portogallo, il tempo in cui tutti i problemi dell’economia mondiale sembrano darsi appuntamento in terra lusitana. Il Paese è in ginocchio, si cancellano matrimoni e figli cosí come si cancellano i posti di lavoro. Daniel, trentasette anni, è rimasto appunto senza lavoro, e sua moglie Marta, disoccupata da quasi sei mesi, se n’è andata con i bambini in un paese lontano, a dare una mano nel bar di suo padre. A Daniel non resta che una vita sbilenca e un’occupazione altrettanto sbilenca: vendere aspirapolvere per non sprofondare definitivamente nell’istante in cui chiuderanno i rubinetti del suo sussidio di disoccupazione. Xavier è sempre piú il giovane triste dai capelli grigi, sguardo vago e sigaretta a bruciare tra le dita, l’aria di chi sta per suicidarsi. Se ne sta giorni interi sdraiato sul letto a guardare il vuoto tra lui e il soffitto. Magro come facesse lo sciopero della fame. Almodôvar, insieme con Xavier, ha avuto l’idea del sito. Sembrava un’idea infallibile, l’affare del secolo. Avrebbero pagato le rate alla banca, le scuole dei figli, avrebbero avuto una vita piú agiata, tutto il film, insomma; e avrebbero fatto una cosa buona. Perché non è forse brillante l’idea di creare una rete sociale attraverso la quale quelli bisognosi d’aiuto avrebbero incontrato quelli disposti ad aiutarli? Risultato: ventisei registrati, di cui quattro assidui scrittori di scempiaggini varie. Un fallimento totale. Qualche giorno dopo la chiusura del suo negozio di scarpe, Almodôvar, un uomo buono, dal sorriso onesto e dalle parole sempre giuste, marito, padre, amico esemplare, è entrato in una stazione di servizio e l’ha rapinata. Ora è dietro le sbarre, mentre sua moglie passa le notti e i fine settimana da un’ottantenne che si alza a malapena dal letto, e suo figlio Vasco torna da scuola, si chiude in camera a suonare oppure dà «la caccia ai froci» insieme con una banda di balordi. Che fare? Rassegnarsi a quella vita qualsiasi che non è piú la vita vera? Oppure agire come Xavier, il tipo piú infelice della città, l’uomo dall’anima nera, che si atteggia a guru della felicità con quella stupida tabella appesa in camera sua che calcola l’indice medio di felicità di popoli e persone? Non è forse meglio cercarsela la felicità o, almeno, non permettere ad altri di decidere del proprio fallimento? Non è forse meglio lasciarsi tutto alle spalle? Unanimemente considerato come uno dei piú brillanti giovani autori portoghesi, David Machado – vincitore del Prix Branquinho da Fonseca, Fundação Calouste Gulbenkian e Semanário Expresso – ha scritto con Indice medio di felicità «uno dei migliori romanzi degli ultimi anni» (João Tordo).

«Drammatico, realistico, a tratti esilarante: questo è un libro sulla speranza, un libro che ci insegna molto su noi stessi». Maria do Rosário Pedreira INDICE

Dettagli libro

Sull'autore

David Machado

David Machado è nato a Lisbona nel 1978. Si è laureato in Economia e Commercio. Nel 2005 ha vinto il Prix Branquinho da Fonseca, il Fundação Calouste Gulbenkian e il Semanário Expresso con il libro per ragazzi A noite dos animals inventados. In Italia Cavallo di ferro ha pubblicato Il favoloso teatro del gigante (2009) e Che parlino le pietre (2013).

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