Il Turchetto

Il Turchetto

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Costantinopoli, 1531. Elie, un bambino ebreo di undici anni, si aggira per il bazar al seguito di Arsinée, la donna che l’ha fatto uscire dal ventre di sua madre, e di suo padre Sami. Subito dopo av

erlo messo al mondo tra innumerevoli tormenti, sua madre ha sussurrato in un miscuglio di turco e catalano: «Es un kütchük fâré muy lindo», è un topino così grazioso, ed è morta. Al bazar, tutti lo conoscono come un monello capace di ritrarre chiunque in pochi secondi, così come tutti conoscono Sami, che si ferma a ogni passo a urinare per strada come i facchini e i mendicanti, la fronte madida di sudore.

Quando può, Elie fugge via dal bazar. Verso la via dei Produttori di Inchiostro. Verso la bottega di Djelal, il danzatore sufi che crea gli inchiostri più belli di tutta Costantinopoli.

Djelal mette tutto il suo cuore, tutta la dedizione e la lealtà di cui è capace in tre attività: la produzione d’inchiostro, la preghiera e la danza. Tre diversi sentieri, per lui, dell’unico cammino verso la serenità e il Signore.

Ad affascinare Elie sono, tuttavia, i suoi inchiostri ‒ azzurri, cremisi, verdi ‒ che gli permettono di esprimere il talento in cui sembra meravigliosamente eccellere: il disegno. Un dono che suscita il benevolo rimprovero di Djelal che gli ricorda che la Legge, comune all’Islam e all’Ebraismo, vieta di rappresentare Dio e le sue opere, e consente soltanto di riprodurre i testi sacri, cercando con umiltà di rendere tutta la loro profondità e bellezza.

L’infanzia di Elie in terra turca finisce il giorno in cui la morte si porta via Sami. In cambio di un ritratto fatto al capitano del Tizzone, una maestosa nave ancorata al porto, Elie si imbarca per Venezia, non prima di ribattezzarsi ‒ opportunamente in un tempo in cui chiunque può tagliare la testa a un giudeo per poche monete ‒ Ilias Troyanos, greco di Costantinopoli, cresciuto accanto a una famiglia di ebrei spagnoli.

A Venezia uno strabiliante destino lo attende. Ilias Troyanos diventa il Turchetto, il più grande di tutti i pittori della città, l’unico capace di fondere in modo quasi miracoloso il disegno e il colore, e di rappresentare i soggetti sacri elevando l’anima e stuzzicando, a un tempo, i sensi.

Uno strabiliante destino che si capovolge, tuttavia, nel suo opposto, in una sorte maligna, il giorno in cui la modella prediletta del Turchetto, Rachel, una bellissima ragazza ebrea dagli occhi incredibilmente verdi e dalla bocca perfetta, viene orribilmente assassinata e gettata in un canale da tre malviventi mascherati come a Carnevale e reduci da una notte di bagordi.

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Sull'autore

Metin Arditi

Nato ad Ankara, Metin Arditi vive a Ginevra, dove insegna alla Scuola politecnica e presiede l’Orchestra della Svizzera romanda e la fondazione Strumenti per la Pace. È autore di saggi su diversi argomenti e di altri sei romanzi.

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