«Quanto è vero Dio, sono tanto belli e mi sento tanto bene dopo averli letti» disse Robert L. Stevenson a un amico a proposito dei cosiddetti Christmas Books di Charles Dickens, di cui Canto di Natale è il primo e piú importante. Un po’ morality, un po’ dramma teatrale, un po’ romanzo sociale, un po’ storia gotica, quando uscí, il 19 dicembre 1843, Canto di Natale fu subito un grandissimo successo editoriale, straordinario per il suo tempo, considerando anche la preziosità dell’edizione illustrata, con la costa di un rosa delicato, scritte in oro e illustrazioni colorate a mano. Un’opera che Dickens scrisse in sole sei settimane, per provvedere alle necessità della sua famiglia, e che, nel giro di appena un anno, diede vita ad almeno otto produzioni teatrali e aprí la strada a un vero e proprio filone letterario. È un inverno freddissimo, quello in cui comincia il racconto, esattamente il giorno della vigilia di Natale: per qualcuno il piú bello dell’anno, ma per il vecchio Scrooge, impenetrabile e solitario come un’ostrica, semplicemente «il momento in cui scopri di essere piú vecchio di un anno, ma povero come prima». Verso sera, riflesso nel batacchio della porta, Scrooge scorge il volto spettrale di Marley, suo antico socio morto da ben sette anni! Comincia cosí una nottata di apparizioni e di eventi soprannaturali che cambierà il suo animo e la sua vita per sempre. Questo «libriccino» – nelle parole di Dickens – che, piú di ogni altra favola natalizia, ha travalicato epoche, paesi e culture viene riproposto qui in una nuova preziosa edizione, grazie alle splendide illustrazioni di Manuele Fior e alla nuova traduzione di Massimo Ortelio, per raccontare nuovamente ai lettori di ogni età la storia del vecchio Ebenezer Scrooge, avarissimo e misantropo, il cui animo arido viene redento, come per miracolo, da quattro fantasmi spaventosi durante la notte di Natale.
«Il freddo che aveva dentro rattrappiva quella sua faccia da vecchio, gli mordeva il naso appuntito, gli irrigidiva il passo, gli faceva gli occhi rossi, cianotiche le labbra sottili, e risuonava, accortamente, nella sua voce stridula. La brina gli imbiancava il capo, e le sopracciglia, e il mento irsuto. Il gelo che emanava dalla sua persona gli ghiaccia - va l’ufficio anche nei giorni di canicola e di certo non si scioglieva per Natale».Dettagli libro
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